E un altro tecnico prestato alla spending review se ne va. Come nel film Il giorno della marmotta domani ripartiamo da capo senza che nulla cambi.
Sembra ieri quando Matteo Renzi, durante le primarie PD del 2012, prometteva con queste parole, vibranti di idealismo, una spending review da 40 miliardi: “La spending review varata dal Governo in carica ottimizza la spesa esistente, ma non entra nel merito della sua utilità: è un provvedimento tecnico e non politico. In particolare non mette in questione la strategia e l’entità degli investimenti pubblici -50/60 miliardi all’anno di spesa – né considera l’efficacia dei contributi europei – 15-20 miliardi di fondi all’anno – frammentati in centinaia di migliaia di trasferimenti di piccola entità e di dubbia utilità. La nostra proposta – prosegue Renzi – ha invece l’obiettivo di ripensare sostanzialmente il modello di sviluppo fin qui seguito, riallocando risorse verso i ceti produttivi, riducendo in modo sostanziale l’area dell’intermediazione politica delle risorse dello Stato. Più mercato e più solidarietà, riducendo la spesa intermediata. Riteniamo realistici i seguenti obiettivi:
• Una riduzione del 10% dei consumi intermedi (cioè acquisti di beni e servizi) per la spesa corrente. Base aggredibile: 120 miliardi. Obiettivo di risparmio: 12 miliardi all’anno;
• Una riduzione del 20-25% degli investimenti e dei trasferimenti alle imprese. Base aggredibile: 60-70 miliardi. Obiettivo di risparmio: 12-16 miliardi;
• Una riallocazione produttiva di 50% dei fondi europei. Base aggredibile: 15-20 miliardi. Obiettivo risparmio: 7-10 miliardi;
• Una riduzione dell’area del pubblico impiego, senza licenziamenti e senza esuberi, ma con estensione del part time, riduzione del numero dei dirigenti e limitazione del turn over, con esclusione della scuola, e migliore mobilità territoriale del dipendente pubblico. Obiettivo di risparmio 4 miliardi.”
Una vera metamorfosi dal Matteo censore degli sprechi della Pubblica Amministrazione a quello che, indifferente, si vede consegnare su un piatto la testa di un tecnico prestato alla missione del taglio della spesa improduttiva dopo l’altro.
Nel frattempo il Ministro Padoan, ormai sempre meno tecnico e sempre più televenditore, annunciava a pagina 24 della Nota di Aggiornamento al DEF di Settembre 2015 che aveva cambiato idea rispetto al DEF di Aprile 2015 (il che sta diventando un vizio) e si era accorto che tagliare gli sprechi della PA ha effetti recessivi:
“Il taglio delle spese riduce l’impatto favorevole sulla crescita della cancellazione delle clausole e abbassa in maniera rilevante per il 2016 la crescita dei prezzi; tuttavia l’adozione di un profilo più graduale di tali tagli fa si che gli impatti depressivi sul Pil siano leggermente inferiori a quanto stimato in sede di elaborazione del Def”.
Fatto sta che gli “ambiziosi” 40 miliardi di spending review del Matteo censore sono diventati 7, che al netto dei tagli alla sanità sono 5, che al netto dei cervellottici tagli alla digitalizzazione della PA sono ancora meno e che poi sono diventano tagli lineari alla faccia del cambia verso. Non ditelo al Governo Cameron che nel frattempo sta tagliando la spesa corrente del Governo di Sua Maestà del 30% (che applicato al nostro Paese vorrebbe dire 150 miliardi al netto della spesa per pensioni -altro che Matteo censore) mentre il Pil cresce quest’anno del 2,6% (contro lo 0,9% nostrano, se tutto va bene) mentre il tasso di cambio della sterlina si è apprezzato (ed adesso non spiegatelo a Salvini che è così facile dire che basta una bella svalutazione competitiva ed arriva il paese del bengodi).
In verità più che in presenza di una politica economica di un Governo che proclama di volere cambiare verso al Paese, siamo di fronte alla dottrina di Don Abbondio che non ha alcuna intenzione di toccare i vasi di ferro della spesa corrente a discapito dei vasi di coccio delle imprese e delle partite IVA. Un Governo debole con i forti in termini di lobby e forte con i deboli.
Che non tocca la spesa corrente mentre prende in giro i lavoratori autonomi e le partite IVA e le imprese creditrici dello Stato. Che finge di dimenticare che è molto più recessivo non ridurre una pressione fiscale ben al di sopra della media europea rispetto a tagliare gli sprechi pubblici. Che spreca 10 miliardi all’anno per 80 Euro che non servono né per i consumi interni né per contrastare la poverta ed altrettanti per un Jobs Act che non crea occupazione ma solo un arbitraggio tra forme contrattuali senza peraltro incidere sul fenomeno del precariato che uccide le prospettive di un’intera generazione. Che utilizza ogni margine di flessibilità concesso dalla Commissione Ue (cioè che fa più debiti che prima o poi qualcuno dovrà pagare) non per fare investimenti ma per aumentare la spesa corrente senza toccare la pressione fiscale. Che traveste da decreto salva-regioni una sanatoria per le amministrazioni amiche (vero Chiamparino?) che hanno utlizzato i fondi allocati per ripagare i debiti verso le imprese per fare nuova spesa corrente. Che dice che ha cancellato l’aumento dell’IVA e dell’accise di cui alle clausole di salvaguardia mentre invece lo ha spostato, euro per euro, al 2017 (quando ci saremo bruciati tutti i margini di flessibilità).
E domani, forse, ripartiremo. Verrà nominato un nuovo tecnico tra grandi proclami. Un nuovo giorno della marmotta avrà inizio. Mentre la spesa corrente, e con essa gli sprechi, continua a crescere sulle spalle di chi paga le tasse. Un film già visto che non fa ridere.