Le sfide che ha di fronte il nostro Paese, si situano in un orizzonte più ampio e lungo della mera uscita dalla crisi. Anzi, affinché si possa iniziare a parlare di vera ripresa occorre mettere le mani sul modello produttivo e di società, poiché solo affrontando in nodi complessi, si potrà riavviare un ciclo di crescita e sviluppo.
Quando si affrontano i temi da questa angolatura la critica è sempre la stessa: “parlate di cose astratte, qui bisogna fare cose concrete”. I critici, sempre presenti, delle riflessioni lunghe, che hanno imperato in questi decenni nel nostro paese, portano la responsabilità delle visioni asfittiche in cui siamo prigionieri.
I pensieri lunghi, le riflessioni sul modello produttivo, economico e sociale, non sono solo esercizi per sociologici, economici e filosofi, ma dovrebbero essere il pane e la carne (meglio il pesce – per il fosforo) di cui si alimentano la politica, i manager e la grande finanza.
Il tema della Green Economy, oltre a qualunque discorso di modo, si colloca proprio all’interno di quella riflessione dalle onde lunghe di cui abbiamo bisogno.
La Green Economy è un tema che sta assumendo sempre più peso nella comunicazione contemporanea. Non c’è giornale, televisione, rivista che non ne abbia parlato. Ma quanto si è radicata, in profondità, nelle coscienze dei residenti nelle città metropolitane? Quanto è in grado di mutare i comportamenti e sovrintendere le decisioni? I prossimi anni ci diranno con chiarezza se quanto oggi iniziamo a individuare abbia un peso reale ed effettivo nelle scelte, nelle azioni e nei comportamenti delle persone. Oggi possiamo registrare solo un dato: in tutte le città metropolitane la spinta verso una economia verde è significativa. Il valore ambientale sta diventando un assunto a vasta diffusione, capace di coinvolgere sempre di più ampi strati della popolazione. Certo si tratta di un processo che si sta precisando nei contenuti e nelle forme, ma inizia a consolidarsi sia nella disponibilità ad accollarsi costi aggiuntivi, sia nella indulgenza verso nuovi sacrifici e, soprattutto, nella possibilità di iniziare a mutare i comportamenti quotidiani. Nelle città metropolitane del nostro paese si sta registrando una buona consapevolezza delle problematiche ambientali, con una innovata e sempre meno ideologizzata attenzione ai temi della natura, dell’ambiente e della qualità del vivere e dell’agire. Una diffusione che non ha più nulla a che fare con le mode, diventando sempre di più un fattore strutturale attraverso cui valutare la qualità della vita, della città e dell’agire civico e politico. Certo, ci troviamo ancora nell’ambito delle spinte egotiche, ovvero, “mi interesso e agisco per l’ambiente per la mia sicurezza, per il mio benessere, per la qualità della mia salute” , e non ancora in una dimensione maggiormente generalista e oblativa, ovvero la spinta a migliorare la società nel suo complesso (senza ricadute immediate per il soggetto). Ma, in ogni caso, ci troviamo di fronte a un mutamento che sarebbe sbagliato non solo non cogliere, ma non valutare appieno nella sua portata, in qualche modo, epocale. Ci troviamo di fronte a un trend che ha ricadute profonde sulla complessità dell’agire dell’homo oeconomicus contemporaneo. Esso incide sulle scelte alimentari, come su quelle abitative, su quelle turistiche, come su quelle comportamentali.